Cura, Formazione

La visione di Cicely

Mentre a ottobre si celebra la Giornata Mondiale degli Hospice e delle Cure Palliative, un viaggio tra i pensieri della persona che ha dato vita a questa grande storia.

«Quando nel 2005, venne presentato il suo ritratto destinato alla National Portrait Gallery di Londra, uno dei presenti disse che il suo volto trasmetteva «un senso di amore e di acciaio». «Chiunque lavori in un hospice necessiterà in abbondanza di entrambi» rispose lei, saggia e caustica. Cicely Saunders aveva 86 anni e la malattia l’avrebbe portata via di lì a poche settimane, eppure con questa frase dimostrava come il vigore visionario che aveva alimentato la sua densa vita rimaneva solido, brillante, instancabilmente destinato a guardare comunque e sempre avanti e agli altri, a chi avrebbe continuato a credere e a costruire sull’opera che lei aveva iniziato. Opera – e vita – che sta tutta racchiusa in un’altra sua frase, pietra fondante di quella che nei sessant’anni del suo impegno è diventata passo dopo passo la base filosofica e l’indirizzo operativo delle cure palliative e del moderno concetto di hospice: «Sono stata infermiera, sono stata assistente sociale, sono stata medico. Ma la cosa più difficile di tutte è stata imparare a essere un paziente». Due righe, un mondo: il punto di attenzione è il paziente, prima e oltre la malattia; questa attenzione riesce a essere completa ed efficace solo se la si affronta in équipe. Il fatto poi che Cicely racchiudesse, nella sua sola persona, competenze ed esperienze di un’intera équipe fa parte dell’eccezionalità della sua figura. Figlia di buona famiglia inglese, nel 1940 abbandona l’università per dedicarsi al lavoro di infermiera: «Pensai che era il posto giusto in cui stare in tempo di guerra».

Dopo quattro anni una grave forma di scoliosi alla schiena non le consente di continuare la pratica infermieristica e allora prosegue nella sua vicinanza ai malati inguaribili come assistente sociale. Incontra e vive da vicino il dolore e la morte ed è da questa pratica sul campo che matura l’idea guida che muoverà tutta la sua vita: «Ho capito che l’importante non era solo ridurre la sofferenza, ma che le persone capissero che la vita può essere vissuta positivamente fino alla fine».

I medici che vedono la sua convinzione e le sue capacità la incoraggiano allo studio della medicina e lei – caparbia – si laurea: «Sapevo che dovevo dare basi scientifiche forti al mio lavoro e renderlo una parte rispettabile e rispettata della medicina», anche come «reazione contro il mondo impersonale di questa disciplina». Tutto, pur di raggiungere quell’obiettivo: dare dignità al malato nel suo stadio terminale, trasformare in scienza – allora inesistente – le tecniche di controllo del dolore – la “cura palliativa”– creare luoghi dove si potesse dare alla malattia un senso alto e altro. «Questo premio», disse nel 1981 ritirando il Templeton Prize, una delle centinaia di onoreficenze che ricevette nella sua vita, «riconosce come la scienza e l’umanità debbano procedere insieme e questo è ciò su cui si fondano gli hospice». Tutto il resto è storia, storia viva e vitale. Che continua a crescere.

CICELY SAUNDERS di David Clark

La forza di una riflessione che nasce sempre da una pratica diretta. Nelle lettere di Cicely Saunders si vede crescere un pensiero che diventa azione, e viceversa. Lo spirito che, ancora oggi, anima il concetto di hospice.

Cicely Saunders Selected letters 1959-1999, by David Clark (Oxford University Press)

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