Cura

Oltre l’oncologia

«L’idea di allargare l’opportunità di un percorso di cure palliative ai pazienti non oncologici c’è da tempo. La spinta decisiva a tradurla in un progetto sperimentale è stata imposta dalla situazione eccezionale della pandemia, con gli ospedali chiamati dall’emergenza a ridefinire le priorità organizzative. È emerso così un bisogno che non trovava risposte; a luglio 2020 abbiamo avviato un confronto con la Rete territoriale e a novembre abbiamo dato il via al progetto».

È un filo conduttore estremamente pragmatico quello che Sharon Nahas, direttrice sanitaria della Fondazione Hospice Seràgnoli, segue per raccontare un’evoluzione molto importante per la Fondazione e, in generale, per il superamento di una cultura dominante che lega le cure palliative quasi esclusivamente ai pazienti oncologici.
A confermare come il bisogno sia ben presente sono i numeri: i pazienti non oncologici ricoverati negli Hospice della Fondazione nel 2020 erano stati il 6% del totale, mentre nel 2021 sono diventati il 15% (151, in cifre assolute). Si tratta, come condiviso con la Rete delle Cure Palliative, di pazienti con patologie croniche degenerative in fase avanzata (end stage).

«Pazienti per i quali le strutture ospedaliere faticavano a garantire un’adeguata e appropriata presa in carico assistenziale, soprattutto per lo stress causato dall’emergenza da Covid-19, anche se si tratta di un tema che esiste a prescindere dal periodo pandemico», spiega Nahas: «I pazienti affetti da patologia cronica degenerativa in fase avanzata, nei periodi di riacutizzazione o di ulteriore evoluzione di malattia spesso non hanno la possibilità di essere accuditi a casa (per problemi organizzativi della famiglia) e vengono, pertanto, ricoverati all’interno dei reparti ospedalieri per acuti, luogo inappropriato per i bisogni globali e multidimensionali che i pazienti e le famiglie esprimono in questa fase di malattia».

Per quanto riguarda l’attività delle équipe di cura e assistenza, «l’approccio nei confronti dei pazienti oncologici e non oncologici è il medesimo», spiega Nahas. «Vi sono differenze, soprattutto per gli aspetti di nursing, con i pazienti affetti da demenza, o da patologie neurologiche, come per esempio la SLA, che perdono la capacità di comunicare e quindi la facoltà di esprimere i propri bisogni. In questi casi la collaborazione con il familiare diventa davvero fondamentale: soprattutto con i pazienti affetti da demenza, è molto importante non portare squilibrio nelle abitudini perché ogni disorientamento può generare ansia e agitazione. Per questo, chiediamo che il familiare possa rimanere con noi qualche giorno, per fare in modo che il paziente si abitui al nuovo ambiente e alla nuova routine del ricovero».

Il progetto prevede consulenze da parte dei medici della Fondazione Hospice per ciascun caso (131 nel 2021) segnalato dalle strutture ospedaliere e non precedentemente in carico alla Rete delle Cure Palliative. Questi consulti sono finalizzati a valutare le condizioni di end-stage e l’eleggibilità del paziente ai percorsi in hospice.
La quasi totalità dei pazienti non oncologici ricoverati in hospice è stata valutata e riconosciuta idonea a un percorso di cure palliative residenziale proprio grazie all’attività svolta dalla Fondazione presso gli ospedali.

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