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«Bisogna lavorare molto in termini di formazione, di preparazione a fronteggiare situazioni diverse avendo la possibilità di “mangiarle”. Abbiamo delegato tutto alla cultura nel senso di accumulo di conoscenze, di concetti da apprendere, ma abbiamo tralasciato il fatto che moltissima parte della nostra testa si forma “mangiando” le cose, facendone un’esperienza diretta che coinvolga tutti i nostri sensi, che ci coinvolga concretamente e attivamente, non solo dal punto di vista cerebrale, intellettuale. Impariamo molto di più “mangiando” la realtà che non pensandoci troppo». Usa un termine molto particolare, Pier Luigi Celli, grande esperto di gestione di impresa e appassionato formatore (è stato, tra le altre
sue tappe di una lunga carriera, anche direttore generale dell’Università Luiss – Guido Carli di Roma), nel descrivere quelli che devono essere i processi oggi più adeguati ed efficaci per far crescere giovani in grado di affrontare le nuove sfide della realtà, nel proprio lavoro come nella vita. Ecco che in questo contesto mutato, nel quale affiorano nuove emergenze e opportunità (pensiamo, in una condizione di carenza di lavoro, a quanti spazi inediti di professionalità apre ai giovani il sempre più vasto mondo della cura alla persona…), torna a giocare un ruolo fondamentale una parola che sembrava condannata al silenzio.
Formare, ovvero dare forma, prima ancora del dare contenuto. Un’attività plastica più che intellettuale. Se il professore “professa” ex cathedra, ovvero fa cadere a pioggia nozioni e l’educatore “e-duce”, quindi conduce fuori e con arte maieutica fa emergere quanto l’allievo ha già in sé, il compito più fragile e delicato resta quello del “maestro-mastro”. Di colui che forma, maneggia la materia, l’argilla viva e guizzante del pensiero delle giovani menti, la raffina, la accompagna nei suoi movimenti, la in-forma mettendoci le mani e l’ingegno, entrando in una dinamica di scambio.
Nei percorsi codificati di istruzione la formazione è sempre stata la «sorella povera», salvo scoprire poi che senza una pratica anche la teoria più raffi nata perde forza, smarrisce la sua ultima ragione d’essere: incidere sulla realtà. E così la formazione pratica è tornata al centro della scena, considerata un investimento sul futuro. È tempo quindi di un bilanciamento, o meglio di un dialogo, tra i diversi mondi della conoscenza e della formazione. «Le nostre università sono, quando va bene, delle forte, ma dal contenuto che apre nuove prospettive sia a chi ha il compito di educare, sia a coloro – i giovani – che hanno voglia di imparare per crescere: Alma matrigna. L’università del disincanto in cui Celli pone le sue proposte per un’università nuova, al passo con i tempi, capace di formare il futuro della società e riflessione sul rapporto tra «cultura» e «competenza». fabbriche di conoscenza standardizzata», conclude infatti Celli. «La conoscenza standardizzata si è formata in tanti secoli passati per fronteggiare le situazioni che emergevano allora. Ma i tempi sono profondamente cambiati e quel tipo di conoscenza non ha più l’efficacia che aveva una volta. Noi viviamo situazioni nuove, i nostri figli vivranno situazioni totalmente nuove e quindi hanno bisogno di formare la propria testa in maniera completamente diversa».
La passione formativa di Pier Luigi Celli attraversa due suoi saggi, dal titolo forte, ma dal contenuto che apre nuove prospettive sia a chi ha il compito di educare, sia a coloro – i giovani – che hanno voglia di imparare per crescere: Alma matrigna. L’università del disincanto descrizione molto autobiografica in cui Celli pone le sue proposte per un’università nuova, al passo con i tempi, capace di formare il futuro della società e La generazione tradita, una riflessione sul rapporto tra «cultura» e «competenza».