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«Una delle caratteristiche determinanti delle cure palliative è la contaminazione tra le diverse discipline. La presenza costante dello psicologo nella quotidianità degli operatori è importante sia per i pazienti e per i caregiver, sia per trasferire a tutta l’équipe dei professionisti della cura una “cultura psicologica” diffusa, che può fare la differenza.
I professionisti sanitari che lavorano in hospice sono infatti chiamati quotidianamente a considerare non solo la storia della malattia, ma anche i bisogni e le aspettative del paziente e della famiglia, spesso non espressi, e che quindi richiedono una sensibilità e una formazione specifiche».
È un compito sottile e delicato quello che vede impegnate le psicologhe del Servizio di Psicologia della Fondazione Hospice Seràgnoli e che Giorgia Cannizzaro, psicoanalista e coordinatrice del Servizio, prova a trasferire nel descrivere il ruolo e le funzioni che queste professioniste svolgono all’interno della complessa macchina operativa della cura in hospice. Concentrandosi, in particolare, su quel lavoro continuo che viene compiuto per e con gli operatori: non immediatamente visibile ai pazienti e ai familiari accolti nelle strutture, ma capace di una ricaduta importante sulla qualità complessiva dell’assistenza. Come spiega infatti Cannizzaro,
«il primo “strumento” del curante è se stesso. L’attenzione che dedichiamo all’operatore, al suo benessere psicologico, all’equilibrio della sua relazione con i pazienti e con i colleghi dell’équipe è un investimento che va a beneficio della qualità della cura».
Da un lato, lo psicologo è operatore tra gli operatori e vive la stessa routine degli altri componenti dell’équipe: è nelle camere, è nei corridoi, è accanto al malato e ai suoi familiari, partecipa al briefing quotidiano.
D’altra parte, però, ha anche una responsabilità in più che riguarda sia l’equilibrio dei singoli operatori in un mestiere e in un contesto a forte stress emotivo, sia l’armonia e la dinamica positiva delle interrelazioni tra colleghi in un’attività che è eminentemente di équipe. Questo secondo aspetto emerge in particolare nel momento chiave del briefing, la riunione quotidiana alla quale partecipano tutti gli operatori della struttura per condividere un aggiornamento sulle condizioni di ogni paziente:
«All’interno del briefing gli psicologi portano – come tutte le altre figure professionali – la propria competenza in équipe per garantire a ogni paziente la miglior cura possibile. Ma svolgiamo anche la funzione di facilitatori nella dinamica della discussione e del confronto, mediando in caso di posizioni diverse tra i membri dell’équipe, affinché il momento del briefing sia quanto più costruttivo. Non solo: conoscendo bene il gruppo di lavoro e le singole personalità, cerchiamo di stimolare a una partecipazione attiva di tutti gli operatori, anche di quelli meno inclini a esporsi in un dialogo allargato».
È poi importante la quotidianità della relazione con i professionisti in relazione alle singole casistiche che emergono dall’attività di cura e assistenza. «In genere è l’operatore a rivolgersi allo psicologo nei momenti di necessità o difficoltà, per condividere come sia meglio rispondere a un paziente che ha posto una questione difficile, come rapportarsi a un caregiver in un situazione complessa o delicata… Ma è anche lo psicologo che si rivolge all’operatore se osserva nella pratica approcci che possono essere migliorati, o di cui ritiene sia utile discutere, o più semplicemente per riflettere insieme su una specifica situazione e dare agli accadimenti un senso che in alcuni momenti sembrano non avere. Il nostro compito non è solo suggerire come “tecnicamente” interagire con un paziente, piuttosto come accogliere e gestire tutte le esigenze emotive che sorgono in questa dinamica di interazione», spiega Cannizzaro.
Il carico emotivo è particolarmente cresciuto, nota la Responsabile, da quando l’attività degli Hospice della Fondazione si è progressivamente aperta all’accoglienza di pazienti non oncologici, «aspetto che ha introdotto nella cura complessità nuove: pazienti che sono in struttura o in cura ambulatoriale ma non in una condizione di fine vita, che, però si interrogano sul tema delle DAT, le disposizioni anticipate di trattamento… questo aggiunge un ulteriore carico emotivo sugli operatori che devono essere aiutati a leggere il contesto, a metabolizzare le emozioni vissute e interiorizzate. Lo psicologo non possiede la bacchetta magica, ma sicuramente può aiutare l’operatore a non rientrare a casa la sera o in struttura la mattina con un carico emotivo rimasto non-elaborato e dunque non metabolizzato». Ma se l’operatore è più sereno dopo avere “lasciato” il proprio carico emotivo, qual è la condizione dello psicologo? Del suo carico emotivo chi si preoccupa? «In effetti», sorride la Responsabile,
«c’è un po’ la convinzione che noi siamo in grado di assorbire tutto, ma è una leggenda. Il nostro percorso di formazione ha avuto come obiettivo anche il lavoro su di noi, per mettere a punto degli strumenti personali per gestire al meglio tutte le complessità che il nostro lavoro ci presenta. Questo però non è sufficiente. È fondamentale il lavoro di confronto all’interno della micro-équipe psicologica: sentire che non si è soli, che ci sono colleghe con le quali condividere il peso emotivo che singolarmente siamo chiamate a portare, rende tale peso più leggero. Dà una prospettiva differente alle cose. Questo dialogo continuo è fondamentale anche per confrontarsi sulla pratica del nostro lavoro, affinché le possibilità dell’errore si riducano al minimo».
«Riuscire ad accogliere e contenere i vissuti, spesso molto pesanti, di pazienti e familiari senza rimanerne schiacciati è possibile solo se c’è a disposizione uno “spazio sicuro” dove poterli metabolizzare. Compito dello psicologo è fornire agli operatori tale spazio mentale ed emotivo.»
Manuela Carlini, Psicologa
«L’equilibrio di un’organizzazione si basa sulla stabilità di ognuna delle sue parti. In un contesto caratterizzato da molteplici sollecitazioni emotive, mantenere l’armonia è un lavoro complesso e delicato, basato su una relazione di fiducia e responsabilità, costruita nel tempo e rinforzata ogni giorno. Il benessere degli operatori rappresenta un punto cardine dell’assistenza, poiché caratterizzano al tempo stesso anche la relazione con pazienti e familiari».